Nel Gennaio 1916 cominciò a pubblicarsi a Kiev una rivista mensile (Il pensiero cristiano), coraggiosa, aperta alle migliori ricerche religiose, a cui collaboravano non solo gente di chiesa, ma anche filosofi, storici, scrittori. Essa cessò le pubblicazioni dopo meno di due anni, ma nel frattempo aveva presentato un documento di eccezionale interesse: le memorie dell’archimandrita Spiridione. Nato nel 1875, figlio di poveri contadini, dopo aver peregrinato attraverso la Russia, la Turchia, visitati i monaci del Monte Athos, divenne sacerdote e fu inviato in missione fra gli indigeni, che ancora vivono in certe parti della Siberia, presso i detenuti della prigione di Cita ed i forzati del bagno penale di Nercinsk. I racconti che egli fa di quel mondo di dannati possono ben star a pari delle Memorie di una casa morta di Dostoevskij: uguale umana compassione, con l’affannosa ricerca della luce che brilla pur fra quelle tenebre. Diamo uno dei molti episodi narrati dal’archimandrita al redattore de Il pensiero cristiano, e da questi pubblicati in forma di volume.
Durante uno dei miei sermoni, udii ad un tratto, nella folla dei detenuti: «È facile per voi, ben nutriti, ben vestiti con una soffice pelliccia, il predicarci la morale: dovreste predicarla ai nostri capi, perché ci nutrano un po’ meglio».